I pilow-kisser li riconoscevi subito da come ti salutavano mimando due bacetti delicati su ambo le guance, proprio come se stessero posando il viso sul cuscino, per poi passare a salutare qualcun altro, volando via di fiore in fiore, attratti dal profumo più intenso delle creme idratanti delle sciure: il profumo del lusso, come lo chiamava lui.
Le lady uffa-uffa -termine indistintamente usato per le donne vere e per le donne inside, cioè quelle imprigionate dentro il corpo di un uomo- si lamentavano sempre di tutto e di tutti, anche se in genere erano quelle che meno avevano da rimproverare alla vita o alla sorte. Erano le più ricche e immancabilmente anche le più stufe. “Just been there, just done that, spare me, spare me…” le imitava Levent intonando con vocina stridula il loro modo di parlare in perfetto queen english. D’altra parte le poverine avevano ben poco da divertirsi in quelle feste dove gli uomini erano al 90% gay. Levent non perdeva occasione per raccontare di quella sera in cui una di loro, mezza nuda e completamente ubriaca, si aggirava per le stanze semivuote di un appartamento a Mykonos urlando senza più neanche un briciolo di dignità “Any bisexual in the house?”
Le frociarole, come si può facilmente intuire, erano le amiche dei maschi gay. Quelle troppo brutte, troppo matte o troppo vecchie per avere un compagno vero, che preferivano la compagnia di amici gay, convinte in cuor loro di riuscire un giorno o l’altro a redimerne qualcuno. Povere illuse. E poi c’erano i barboni: i paria, gli invisibili della città. Quelli senza arte né parte, senza quelli senza né vestiti griffati né accessori firmati, quindi praticamente senza nome. Quelli che Levent era costretto a citare per esigenze diciamo così socio-antropologiche; giusto per completare la lunga e dettagliata analisi della variegata fauna milanese vista attraverso i suoi occhi di immigrato di lusso. Esclusi dai party quelli li ritrovavi in ogni angolo della città.
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