lunedì 1 marzo 2010

Prologo

 

I pesci del mare lo sapevano
che poteva volare.
Ma non lo andarono certo a raccontare.

Luca riuscì a stento a completare la frase che un doloroso crampo lo costrinse a mollare il pennello che stringeva nella mano sinistra. Era mancino. Il cotone della trapunta su cui stava dipingendo era così spesso da lasciare intravedere appena le parole della poesia che doveva ricalcare, e così assorbente che doveva tirare molto ogni pennellata per riuscire a tracciare con precisione il profilo di ogni lettera prima che l’inchiostro per tessuti asciugasse. Aveva stampato la poesia in un bel carattere corsivo su dei fogli A3, li aveva attaccati con lo scotch e stesi bene bene sul ripiano di vetro del tavolo della cucina, con l’abatjour accesa a terra. Per fortuna le setole erano quasi completamente asciutte quando il pennello gli volò via di mano. Ma una grossa goccia verde salvia cadde sulla trapunta, circondata da una corona di goccioline più piccole tutt’intorno, come un fuoco d’artificio. Luca scrollò la mano su e giù per sciogliere il crampo e le dita scrocchiarono come quando faceva la stecca al militare. Poi recuperò il pennello da terra e si mise a sedere ansimante per quel minimo sforzo, senza riuscire a farsene una ragione alla sua giovane età. Ma soprattutto pensando a come risolvere la faccenda.
Non voleva che la sua coperta fosse la più bella. Desiderava solo che fosse perfetta. Era il suo modo per farsi perdonare di tutti gli errori che aveva commesso nella sua vita. Ma la vita si sa è imprevedibile. Ti sfugge tra le dita quando meno te l’aspetti proprio come quel pennello e non puoi fare altro che cercare di riprendertela in mano e rimediare come puoi. Luca intinse la punta del pennello nella boccetta di acrilico verde e lasciò cadere qualche altra goccia qua e là sulla coperta, tra le parole “tatuaggio” e “ala” della poesia. Poi spense l’abatjour e la lasciò asciugare. Si guardò le mani. Erano livide e screpolate sul palmo e le vene sul dorso erano bitorzolute e viola a furia di siringhe. Aveva di nuovo la febbre. Si deterse la fronte imperlata di sudore con la mano del pennello e con l’altra si strappò via il cappellino di lana all’uncinetto che gli aveva regalato la madre a Natale e lo gettò a terra con un gesto d’insofferenza. Poi si trascinò stancamente sulle pantofole fino al mobiletto delle medicine in bagno. Nel riflesso dello specchio un vecchio con la barba incolta e capelli radi e sottili come la peluria di un neonato lo fissava con uno sguardo grigio e spento, pallido fantasma del bel ragazzo di un tempo. Prese il flacone di Atripla dalla mensola e lo vuotò nel cesso.

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