mercoledì 3 agosto 2011

Davide (III parte)

“Inutile sottoporlo a quello strazio” disse.
Era troppo piccolo per capire. Naturalmente il ragazzo era d’accordo. Lasciò passare qualche giorno prima di portare Davide a giocare a palle di neve nel parco. Scelsero il parco delle Basiliche, soprannominato il parco dei bambini da quando ci avevano messo un grande spiazzo recintato con i giochi. In mezzo alla neve si vedevano le due altalene, due cavallucci a dondolo e il castello di legno con lo scivolo e il ponticello mezzo annegato nella neve.
Ma a parte una coppietta di quindicenni che si sbaciucchiava sull’altalena, nel recinto non c’era nessuno. I bambini e i loro genitori erano tutti in mezzo al parco, dove ipoteticamente ci sarebbe dovuta essere la grande distesa verde del prato, ora completamente bianco. Giocavano a prendersi a palle di neve o facevano grandi pupazzi con castagne selvatiche per occhi e un rametto o una carota al posto del naso.
Per fortuna Davide era un bambino allegro ed estroverso, e corse subito verso un gruppo di coetanei per mettersi a giocare insieme a loro, lasciando Silvia e il ragazzo indietro a passeggiare nella neve. Nessuno dei due osò rompere il silenzio ovattato di quel pomeriggio, ma furono entrambi grati al piccolo di non averli costretti oltre a fingere d’essere allegri per non fare intristire lui.
Era il primo dicembre, giornata nazionale della lotta all’AIDS e il prato intorno alla Basilica di S. Lorenzo, proprio dall’altro lato della strada che divideva in due il parco, era tappezzato delle coperte del ricordo per la raccolta fondi dell’ANLAIDS. Erano trapunte e coperte cucite a mano da amici, parenti e dagli stessi ammalati con tessuti e disegni dai colori allegri che non riuscivano però a nascondere la sofferenza o ad esorcizzare la disperazione che quella malattia si portava inevitabilmente con sé. Il dolore era palpabile e le allegre grida dei bambini, solo poche decine di metri più in là, sembravano incredibilmente lontane. Silvia e il ragazzo si strinsero istintivamente l’una all’altro con la scusa del freddo. A un tratto il ragazzo si fermò davanti a una coperta come obbedendo a un irresistibile richiamo. “Luca è morto”. Possibile che la sua vecchia voce interiore si facesse risentire proprio ora, dopo tanti anni di silenzio? La coperta aveva una cornice patchwork a quadrati colorati. Al centro della coperta bianca c’era una poesia scritta a mano con un delicato colore verde salvia su fondo bianco.