mercoledì 24 marzo 2010

Olga (IV parte)

Raduno estivo, Perugia. Esterno giorno.
I vampiri della nazionale non contenti del sangue che gli facevano sputare ogni giorno in pista né di quello che gli avevano prelevato durante tutta la settimana di allenamenti, volevano assaggiare anche la sua carne. Giusto un pezzetto di quadricipite per conoscere la ricetta del successo del ragazzo, avevano detto ai genitori.
Più fibre bianche = 400 ostacoli. Più fibre rosse = 110 ostacoli. La risposta non arrivò mai. Giace ancora sull’asfalto della provinciale Perugia-Roma dove per un incidente dell’auto che lo trasportava in laboratorio, il bidone dell’azoto liquido si rovesciò, spargendo in terra il prezioso campione muscolare del ragazzo insieme a quelli di tutti gli altri allievi della nazionale, come le foglie della Sibilla Cumana sparse in terra.
Dopo la prima settimana a Perugia fu la volta dei raduni mensili a Formia. Che bello era prendere il treno e ritrovarsi con i compagni velocisti alla scuola nazionale di atletica leggera insieme a Mennea, la Simeoni e ai tanti altri campioni con cui si condividevano sudore e sogni, risate, lacrime e sangue.
Gli ostacolisti erano i più coccolati perché riunivano velocità, potenza e coordinazione a quel non so che di misterioso, unico e indefinibile che viene comunemente chiamato stile. Si faceva a gara per tutto: per l’uscita più rapida dai blocchi, il passaggio più elegante sugli ostacoli, la maggiore reattività in pista e, naturalmente, lo stacco di coscia più alto e la calzamaglia più attillata. D’estate poi era un tripudio di corpi depilati e ben oliati, narcisisticamente esposti in bella vista con la scusa dell’abbronzatura.
“Sesso che cammina” diceva il ragazzo, anzi che corre. Lo sapevano anche loro, i vampiri della nazionale che era impossibile tenere a freno gli ormoni impazziti di quegli adolescenti, nel pieno vigore delle loro forze. Per questo gli mettevano il bromuro nel latte e li chiudevano a chiave nelle camerate di notte, per evitare che andassero a insidiare le compagne atlete. Ma chi ci pensava alle ragazze. Loro bastavano a se stessi. Tutto cominciò per gioco, grazie a un numero di Playboy che il ragazzo aveva trafugato dall’armadietto di un massaggiatore. Nel corridoio in fondo alle camerate c’era una fotocopiatrice. Di notte i ragazzi si passavano la rivista e quando l’eccitazione si faceva largo dentro i boxer lo tiravano fuori, lo poggiavano sul vetro e lo fotocopiavano. Poi misuravano il risultato con la fettuccia per il salto in lungo. Presto diventò quella la gara più eccitante per il ragazzo. Non gli era mai piaciuto fare addominali.
“Con la tararuga ci nasci, ma non ci diventi” si consolava lui con gli altri. Ma nel segreto della sua stanza si sottoponeva a infinite serie di crunch, prima e dopo ogni allenamento.
“Gli piacciono gli addominali al tuo amichetto, eh?” gli disse un giorno il suo nuovo allenatore. “Se non la smetti di frequentare quella gente lo dico ai tuoi genitori” concluse, gelando il sangue del ragazzo davanti a tutti i suoi compagni di squadra.
Lui fece finta di niente ma sentiva una rabbia antica montargli dentro. Trovava tutto così ingiusto e umiliante. Un furtivo scambio d’occhiate col suo fedele compagno di allenamenti gli confermò che i suoi sospetti erano fondati. Quell’infame oveva aver parlato. Cominciò a dubitare della lealtà del compagno con cui s’era confidato ma si sentiva abbastanza tranquillo. Quel bastardo di allenatore in fondo non aveva prove. All’epoca il ragazzo frequentava solo un paio di locali privati, perciò dovunque l’avesse beccato quel ficcanaso figlio di puttana doveva essere dell’ambiente pure lui. E un frocio sposato con due figli di sicuro aveva molto più da perdere di lui. Comunque il ragazzo aveva preso le sue precauzioni e quando si ripresentò dai suoi per il suo compleanno, si portò dietro una fidanzata in carne ed ossa. Parecchio in carne per la verità. Fulvia era alta, grossa e alquanto ingenua, ma abbastanza cotta di lui da credere alla raffazzonata storia del suo dis-orientamento sessuale e candidarsi con piacere per redimerlo e riportarlo sulla retta via. La mamma del ragazzo, conoscendo l’ossessione del figlio per l’estetica dovette rimanere alquanto sorpresa alla vista di quella valchiria dal marcato accento romanesco e dal modo non esattamente raffinato con cui sorbiva il brodo dei suoi tortellini fatti in casa. Ma l’affetto sincero che dimostrava per suo figlio la rassicurò a tal punto che il pranzo scivolò liscio come l’olio verso un sonnacchioso pomeriggio domenicale. L’unico ad essere visibilmente sollevato sembrava Pietro che, sebbene non giudicasse esattamente Fulvia come una Venere di Milo, la riteneva una ragione sufficiente per fugare i dubbi e le insinuazioni sempre più pressanti dei suoi amici sulla chiacchierata omosessualità del fratello. Il ragazzo -che non aveva mai creduto nelle coincidenze- avrebbe dovuto capirlo subito che quella farsa non avrebbe retto a lungo. Ma quando si accorse di aver perso la carta d’identità non colse il segno premonitore dell’imminente tragedia. Appena rientrò a casa dopo aver fatto la denuncia di smarrimento alla vicina stazione di polizia, al ragazzo fu chiaro che l’allenatore aveva mantenuto la promessa, anzi la minaccia. Era bastata una telefonata per mandare tutto a puttane e trasformare la valchiria di rappresentanza  in un ammasso tremolante di carne umana. Quando il ragazzo la vide piangere insieme ai suoi genitori sul divano blu dell’ingresso confessò tutto come un fiume in piena che rompe gli argini. Non era più tempo di scappare. Lui era cambiato ed era ormai pronto ad affrontare la realtà senza paura. Non si spaventò nemmeno quando sentì l’eco di quelle parole rimbombargli dentro per l’ultima volta: “Morirai a 19 anni”. Da quel momento il ragazzo giurò di chiudere per sempre col passato, anche se sapeva di dover dire addio al suo grande amore per l’atletica. Guardava i legni di tutti gli ostacoli che aveva superato passargli davanti, trascinati via dalla corrente in piena della sua nuova vita. Era morto e risorto e n’era felice. Aveva appena compiuto 19 anni.

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