venerdì 19 marzo 2010

Olga (I parte)

E pensare che il ragazzo era approdato all’atletica solo per sfuggire alla concorrenza di Piero, il fratello maggiore che puntualmente lo stracciava a tennis. Era una battaglia impari perché per un ragazzo di 14 anni, due anni di differenza sono tanti. E non era l’unica battaglia che combatteva contro di lui. Quand’erano piccoli lui e il fratello giocavano sempre ai soldatini. Quanti ce n’erano in quella vecchia scatola di biscotti. Saranno stati un centinaio, tra indiani e cowboy. Una lotta per decidere chi prendeva i cowboy. Una lotta per accaparrarsene il maggior numero possibile, con dieci tiri di dadi. Li allineavano in una lunga fila sul parquet, ai lati opposti della stanza. L’ultimo tiro di dadi decretava chi doveva lanciare per primo la biglia matta contro le fila nemiche. Si andava avanti, un lancio ciascuno, finché tutti i soldatini avversari non erano riversi a terra. Niente giochi di sponda sulle pareti laterali. Era quella la regola che causava più problemi perché una volta lanciata la biglia matta era impossibile prevedere i suoi rimbalzi. Non si sa come, finiva sempre che vinceva suo fratello. Allora lui si metteva a urlare con quanta voce aveva: NON VALE! NON VALE! NON VALE! Poi, accecato dalla rabbia si gettava sui soldatini nemici superstiti e li spazzava via con una manata. A quel punto Piero perdeva la pazienza e cominciavano a menarsi. Il ragazzo si metteva sulla schiena scalciando da ogni parte come un pazzo e rendendo praticamente impossibile al fratello mettere a segno uno dei suoi terribili pugni. Quando le cose si mettevano male, papà urlava di finirla dallo studio e arrivava la mamma. Fulminava il fratello maggiore con lo sguardo, asciugava le lacrime al più piccolo con un tovagliolo e se lo portava in cucina dove gli dava una doppia dose di patatine fritte. Quello era il suo premio di consolazione. Tra le lacrime che gli velavano gli occhi e l’odio contro Piero che gli montava dentro senza ragione e proprio per questo senza alcuna possibilità di consolazione, il ragazzo diventava grande e la sua voglia di rivincita cresceva con lui, sempre più assurda, caparbia e incontrollabile come una malattia. Finché non cominciò ad ammalarsi sul serio.
Sua mamma aveva perso un fratellino di febbre tifoide e ogni volta che il ragazzo aveva l’influenza lei si disperava. A nulla servivano le parole del pediatra che frequentava assiduamente la casa e, dopo aver ficcato un cucchiaione in gola al figlio, tentava di tranquillizzarla che era solo una banale influenza. Lei si metteva le mani nei capelli e si tormentava senza sentire ragioni, finché una miriade di piccole efelidi rossicce le avvampavano il viso e il collo lungo alla Modigliani. 
“Febbre ‘e crescenza” la liquidava la nonna con la saggezza dei suoi 80 anni passati tra guerre, carestie e morti premature e In effetti ogni volta che il ragazzino si alzava dal letto, era di qualche centimetro più alto. Ben presto superò il fratello e l’inesorabile ascesa delle sue tacche segnate col pennarello verde sul parato della cameretta lo consolò un pochino. Ogni mattina la mamma gli misurava la temperatura e se aveva la febbre lo metteva nel lettone, gli portava la spremuta, il caffellatte coi biscotti già spalmati di burro e marmellata, accendeva il mangiadischi arancione con le sue favole canore preferite, gli stampava un bacio sulla fronte bollente e se ne andava tutta preoccupata al suo lavoro di maestra elementare. Quando si fece più grande e imparò a leggere, intorno agli otto anni, gli comprò i Quindici. Così poteva leggersi le favole da solo oltre che guardare le figure. Il libro più consumato della serie era il numero 14: “Fare e Costruire”. Sulla copertina e sulla costa c’era un riquadro verde pisello con delle grosse forbici grigie in rilievo. Verso i dieci anni la mamma cominciò a passargli le sue riviste. Erano per lo più giornali di moda con grandi pagine piene di modelle altissime e magrissime ritratte a figura intera, in tacchi alti, minigonne mozzafiato e abiti eleganti, cappelli e borse di ogni foggia e dimensione. Fu allora che il ragazzo poté mettere in pratica quello che aveva imparato sul libro de I Quindici numero 14.

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