venerdì 28 maggio 2010

Droppie (V parte)

La formula che aveva trovato era perfetta: si riferiva alle peonie ma poteva alludere anche a Pietro e Nicola. Semplicemente geniale -si complimentò con se stesso- mentre imbucava la raccomandata con la foto a: Sua Mammità Silvia M., Via Vetere 14, Milano.
Silvia arrivò il giovedì sera. Il ragazzo andò a prenderla alla stazione Termini con un grosso cane di peluche in regalo per il bambino. Ma Davide, come previsto e anche un po’ sperato, non c’era. Silvia era riuscita ad affidarlo ai nonni per un paio di giorni, approfittando della festa dei lavoratori. E poi voleva godersi quel compleanno nella città eterna solo con il suo migliore amico e le sue peonie, disse abbracciandolo raggiante.
A casa il ragazzo si mostrò allegro, premuroso e fu di parola. Anche se dovette mordersi la lingua un paio di volte rispettò il patto che avevano fatto alla nascita di Davide. Vietato fare commenti sulla pancetta, il seno o il peso di Silvia finché Davide non avesse compiuto un anno. Questo era il patto. Fu dura mettere a tacere il suo forte senso estetico ma il ragazzo ce la fece. Per evitare gaffe, parlò il meno possibile e lasciò parlare lei. A Silvia non sembrava vero di potersi sfogare finalmente con qualcuno e di aver trovato nell’amico un uomo che sapesse ascoltarla fino alla fine senza interromperla con battute inopportune, domande inutili e consigli non richiesti. Non s’insospettì neppure quando il cellulare del ragazzo squillò e lui invece di rispondere mise la suoneria in modalità muto. Non era un uomo come gli altri e neppure una donna, si disse. E in cuor suo benedisse lui e tutti i gay del pianeta.
Ma il giorno dopo dovette ricredersi. La festa fu stupenda, la casa uno schianto, le peonie meravigliose e Pietro e Nicola -la coppia gay di padroni di casa- veramente deliziosi. Ma il suo amico fu davvero insopportabile: il suo umore era nero e il suo nervosismo incontrollabile. Ma Silvia era decisa a divertirsi ad ogni costo e così fece. Era felice di volteggiare ora con Pietro, ora con Nicola e con tutti i loro amici e le piaceva la sua immagine riflessa e moltiplicata con uno scarto infinitesimale negli specchi che adornavano le quattro pareti del salone nonostante, doveva ammetterlo, quei due o tre chili di troppo. Solo quando tutti se ne furono andati e si ritrovò a tu per tu col ragazzo a fumare l’ultima sigaretta nel giardino in mezzo alle peonie lo affrontò di petto.
“Mi spieghi che cazzo c’hai? E’ tutta la sera che tieni il muso. Non te l’ho chiesto mica io di portarmi a palazzo a festeggiare il mio compleanno! Sei stato tu a insistere tanto di passarlo qui a casa dei tuoi amici ricconi”.
“Ricchioni, vorrai dire”.
“ E menomale che c’erano loro, sennò sai che bella festa di merda”.
“…”
“Perfetto, ci mancava pure questo. Mo’ ti metti pure a piangere!”.

Quando si calmò e riuscì a parlare, il ragazzo le raccontò tutta la storia senza omettere nemmeno il più piccolo particolare. Silvia era come una sorella per lui e con lei non si vergognava di niente. Alla fine entrarono a prendere i cappotti nella stanza blu e se ne andarono via senza salutare nessuno. Silvia sollevò un sopracciglio e disse: “I letti sono fatti per due”. In macchina nessuno osò fiatare fino a casa.

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