mercoledì 26 maggio 2010

Droppie (IV parte)


I due si rividero altre volte dopo quel primo eccitante pomeriggio. Il ragazzo praticamente cominciò a vivere da Pietro ma non gli rivelò mai il suo vero nome.
Si vedevano all’università e poi andavano a dormire nella stanza blu insieme a Eva che si accucciava elegantemente sul suo cuscinone ai piedi del camino ad osservarli. Il sesso tra loro era sempre creativo, intenso e incredibilmente appagante.
Passavano interi weekend a scopare e mangiare bistecche per riprendere le forze. Avevano ispezionato ogni centimetro dei propri corpi con cura e maniacale attenzione e ormai non gli faceva schifo niente l’uno dell’altro. Pisciavano e defecavano insieme, facevano la doccia insieme e anzi spesso non si lavavano neppure tra un rapporto e l’altro. Amavano farsi seccare lo sperma sulla pancia in sottili strati appiccicosi e bianchi come vinavil, per sentirsi l’odore dell’altro addosso tutta la notte. La mattina dopo, con calma, si alzavano e facevano il bagno insieme nella grande vasca idromassaggio finché lo sperma secco non si staccava e veniva a galla come le pellicine morte dell’abbronzatura. Durante i loro amplessi Eva si allontanava discretamente dalla stanza blu-cina per ritornare alla sua cuccia solo quando avevano finito. Una volta avevano anche provato a farle leccare la cappella ma lei l’aveva disdegnata e si era defilata ticchettando con le zampe sulle maioliche del corridoio e leccandosi i baffi per togliersi quel odore dal muso. Una domenica mattina il ragazzo si alzò e non trovando Pietro neanche in bagno, lo raggiunse in cucina. Mentre camminava in punta di piedi sulle maioliche gelate lo sentì urlare e poi piangere al telefono. Soltanto quando minacciò di tornarsene a piedi a casa sua Pietro gli confessò che era fidanzato da dieci anni con un uomo di Bari, ma che non avrebbe potuto lasciare né l’uno né l’altro perché ormai li amava tutti e due. 
Il ragazzo conobbe Nicola il sabato successivo, a casa di Pietro. Dalle feste che gli fece Eva e dalla familiarità con cui Nicola si muoveva per casa, Andrea si convinse che Pietro aveva detto la verità. Fu imbarazzante all’inizio ma Pietro aveva un incredibile ascendente su entrambi gli amanti. Dopo i pianti disperati e sinceri di Pietro, un paio di patetici tentativi di lasciarlo da parte di Nicola e la proposta del ragazzo di togliere il disturbo, gli animi si placarono. I tre si addormentarono vestiti sul lettone, con Pietro abbracciato in mezzo a loro due. La domenica mattina il ragazzo acconsentì a restare a casa con Eva. Pietro e Nicola uscirono insieme in macchina e tornarono verso mezzogiorno con una strana statua di bronzo tra le mani. Rappresentava un’antica divinità greca: un satiro mezzo uomo e mezzo caprone che suonava il flauto dolce.
Con espressione neutra e una voce incredibilmente calma, come se fosse la cosa più normale di questo mondo, Pietro espose la sua idea di una storia a tre e propose di suggellare subito l’inizio di quel triangolo amoroso con un baccanale da tenersi proprio lì, nella casa in cui si erano conosciuti. L’orgia doveva essere consumata davanti alla statua del dio Pan, il cui nome –gli fece notare Pietro con una certa dose di autocompiacimento- era composto dalle iniziali dei loro tre nomi: Pietro, Andrea e Nicola. Il ragazzo provò inutilmente a resistere. No che non poteva tirarsi indietro! Proprio lui che diceva sempre di non credere alle coincidenze. Nicola naturalmente era già d’accordo. Per dimostrarglielo aprì il salone degli specchi, accese il camino, si stese nudo sul tappeto insieme a Nicola e incominciò a baciarlo sotto lo sguardo beffardo del dio caprone. Nicola era più vecchio di lui e anche di Pietro, ma dovette ammettere che il corpo completamente glabro e i muscoli guizzanti sotto la pelle olivastra del barese lo eccitavano non poco. In fondo cosa gli importava? Non aveva niente da perdere. Anzi era in una posizione di vantaggio. Non era lui il rovina-famiglie. Era stato truffato e ora gli si presentava l’occasione di prendersi la rivincita. In fondo l’amante era lui e anche il più giovane dei tre. Se Pietro e Nicola costituivano la coppia base, era lui il vertice del triangolo. Nicola era ben messo, osservò. Il suo cazzo non era lungo come quello di Pietro, ma era scuro e turgido, con un glande largo e liscio come la cappella di un fungo che risplendeva alla luce delle fiamme nel camino. Quella fu l’ultima cosa che vide. Poi fu un unico, inestricabile groviglio di corpi eccitati. Bocche infuocate, lingue saettanti, mani curiose e dita insaziabili, sguardi ingordi e mugolii infiniti di piacere. All’inizio fu Pietro a condurre le danze. Ma il ragazzo dovette solo attendere un poco e, come aveva previsto, ben presto divenne lui il polo d’attrazione, complici il vino, l’eccitazione e l’irresistibile gusto per la novità. Pietro capitolò per primo. All’inizio l’imparzialità delle sue attenzioni per il vecchio e il nuovo amante fu impeccabile. Ma quasi senza accorgersene si distolse progressivamente da Nicola per abbandonarsi sempre più agli abbracci e ai baci del ragazzo. Nicola restò lì a guardarli in disparte con la schiena poggiata contro il muro e poi, lentamente si dileguò. Lo sentirono andarsene alla guida della sua Saab mentre si facevano la doccia insieme.
Ma Pietro non si arrese e il weekend successivo si ritrovarono di nuovo tutti e tre insieme sul tappeto davanti al camino acceso e poi, sfiniti, si addormentarono sul letto nella stanza blu. Uno di qua, uno di là e Pietro al centro. Il ragazzo passò una notte insonne. La mattina seguente in cucina Pietro comunicò a tutti la sua grande idea.
“Adesso che abbiamo inaugurato il salone degli specchi perché non ci facciamo una grande festa con tutti i nostri amici? Ognuno è libero di invitare chi gli pare. Che ne dite?”
Nicola ne sembrò entusiasta. D’altra parte loro avevano tutti gli amici in comune. Il ragazzo invece non sapeva proprio chi invitare. Nella lettera che scrisse a Silvia si sforzò di sembrare normale, ma doveva per forza inventarsi qualcosa per spingerla a lasciare il piccolo Davide dai suoi e raggiungerlo giù a Roma. Il suo compleanno era appena passato e la laurea ancora lontana. Non poteva barare. Silvia era perfettamente al corrente dell’andamento dei suoi studi. A lei non poteva mentire. Non l’aveva mai fatto e non voleva certo cominciare allora. Lei odiava le bugie e lui non poteva rischiare di perderla proprio quando aveva più bisogno della sua presenza. Non serviva dire una bugia, pensò il ragazzo. Bastava non dirle tutta la verità e a lui non mancava certo l’immaginazione. Il sabato successivo sarebbe stato il 2 di maggio: il giorno del compleanno di Silvia. Maggio era il mese delle rose e delle peonie. E anche Silvia come lui adorava le peonie. Così lussureggianti e decadenti. Lussuriose –sorrise tra sé il ragazzo- e gli sembrò che non ci fosse termine più appropriato per descrivere quella situazione. Lusso e lussuria! Aveva trovato anche il tema della festa e lo comunicò raggiante a Pietro e Nicola che approvarono la proposta con entusiasmo. Manco a farlo apposta in giardino c’era un’aiuola piena di peonie pronte a sbocciare. Il ragazzo scattò una foto in concreto a quei boccioli turgidi con la sua vecchia Polaroid e con un pennarello indelebile ci scrisse sotto: “Festeggiamo il tuo compleanno insieme, tu, io e loro?”.

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