lunedì 3 maggio 2010

Sogno n°4

“Questa è la mia casa!” urla mio padre a mia madre in piedi in camera da letto.
Non si sono accorti che li sto ascoltando atterrito dietro ai quadratini satinati della porta a vetri.
“Ma tu sei vivo o sei morto?” gli chiedo con la voce dell’innocenza irrompendo nella stanza con il pigiamino azzurro di quando ero bambino.
Papà non risponde. Ammutolisce e scompare da dove è venuto: dal nulla.
Mi ritrovo in mezzo a uno spiazzo di terra battuta, come quello della nostra villa di Procida, prima che papà seminasse l’erba e piantumasse il giardino. Ci sono solo i due alberi di arance che aveva piantato alla nostra nascita e che portano i nostri nomi. Uno alto e rado, l’altro più basso e frondoso. Tra i due tronchi è legato uno scialle di lana color salvia, come una rete di pescatori tesa al sole ad asciugare. O come un grande acchiappasogni. Su una vecchia sdraio di tela a fiori sta seduta una vecchia decrepita con una racchetta da tennis in mano a mo’ di battipanni. Appena mi vede si alza con sorprendente agilità e con una voce che fa venire i brividi mi dice: “Ti ricordi di me?”.
Mi fissa col suo unico occhio sano da cui fuoriesce un raggio di luce verde come il laser di una discoteche. Mentre ripete la domanda tira fuori una palla da tennis e comincia a palleggiarla con la racchetta a terra, sollevando nugoli di polvere. Vorrei fuggire ma appena la pallina rimbalza a terra resto impietrito come per uno stratagemma. L’unica via di fuga è chiusa dallo scialle a rete. Devo affrontarla. Se pronuncio il nome della strega so che rompo l’incantesimo ma dalla mia bocca spalancata dal terrore non esce un solo suono. Urlo con tutta la forza che ho in corpo e mi sveglio di soprassalto gridando a squarciagola il nome di una donna che non conosco o non ricordo di aver conosciuto mai.

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