mercoledì 19 maggio 2010

Droppie (III parte)

Naturalmente il ragazzo non si fece accompagnare a casa. Non a casa sua almeno. Quando la Opel s’infilò nel cancello della villa di Pietro, il ragazzo non credé che una simile fortuna potesse essere capitata proprio a lui. Bello, intelligente e pure ricco! Seguì Eva per un lungo corridoio in maioliche di Vietri attraverso saloni dalle pareti affrescate alla cinquecentesca e dalle volti a botte ricamate di stucchi e di rosoni, fino alla stanza da letto blu cina. Rimase a bocca aperta di fronte al grande camino in pietra incorniciato dalle due porte finestre e dalla vista incantevole sul terrazzo in cotto antico con affaccio sul cortile dove avevano parcheggiato. Approfittando della sorpresa del suo ospite Pietro gli mise una mano dentro i pantaloni e quando il ragazzo se la tolse, senza perdersi d’animo gli infilò la lingua in bocca.
“Mi dici dov’è il bagno?” lo interruppe il ragazzo senza scomporsi, ma ben contento di aver dato a Pietro un nome falso il nome falso, e deciso ad andarsene di lì al più presto. Ne aveva incontrati di tipi frettolosi come quello, impazienti di andare subito al sodo e sapeva già come gestirli. Il solito represso fuori sede con una vita insospettabile e semmai una fidanzata o una moglie da qualche parte giù al paese, pensò. Ma in casa non aveva visto foto di donne e anche se il bagno aveva due lavandini, non c’erano spazzole, fermacapelli, trucchi o assorbenti in giro. L’unica presenza femminile era quella di Eva e probabilmente della cameriera che aveva stirato la pila di panni disposti ordinatamente ai piedi del letto.
Il ragazzo pisciò seduto sulla tazza come d’abitudine. Notò un’orchidea fucsia davanti alla finestra, inequivocabile segno delle tendenze gay del proprietario. Dopo un secondo Pietro entrò nel bagno, passò davanti al ragazzo e senza dirgli una parola andò a sedersi sul bidet di fianco a lui, lanciandogli un’occhiata complice allo specchio.
Cazzo, s’era dimenticato di chiudere a chiave la porta! Ma gli sembrava superfluo visto che c’erano solo loro due in casa. E Pietro non poteva certo prenderlo come un invito a entrare, considerato come aveva reagito alle sue avance di prima. E adesso che faceva? Provò ad alzarsi di scatto, ma Pietro non gli lasciò neppure il tempo di tirarsi su i calzoni. Si scostò i capelli di lato e gli prese l’uccello in bocca ancora gocciolante di piscia. Il ragazzo lo lasciò fare. La faccenda cominciava a divertirlo. Voleva vedere fino a che punto sarebbe arrivato. Pietro, in ginocchio, anche lui coi pantaloni calati, cominciò a spompinarlo con dolcezza masturbandosi con l’altra mano. Il ragazzo non s’era sbagliato. Pietro aveva realmente un bel arnese. La cosa fu un po’ troppo rapida ma molto eccitante e come inizio lasciava ben sperare. Quando ebbero finito Pietro gli passò una salvietta pulita e lo lasciò lì da solo a farsi la doccia. Quando il ragazzo uscì e lo raggiunse in cucina, trovò Pietro seduto ad aspettarlo in una bella veste da camera a righe rosse e blu, davanti a una fetta di pane casereccio, mozzarella di bufala e salame piccante, e a un bel bicchiere di cristallo pieno per metà di un corposo vino rosso.
Sotto la vestaglia Pietro aveva una maglietta gialla con il numero 69 e la scritta “breakfast included” stampata in verde.
“Servizio completo, eh?” fece il ragazzo divertito da quella assurda situazione. Con la mano libera dal panino Pietro accarezzò Eva che si era andata a strusciare contro le gambe del ragazzo.
“Piaci anche a lei” disse Pietro, glissando elegantemente su quella battuta e sollevò il bicchiere in segno beneaugurante. Poi si avvicinò e lo baciò travasando il vino tiepido direttamente dalla sua bocca a quella del ragazzo. Alla fine gli sorrise dolcemente, come a voler sottolineare che era lui a condurre il gioco lì.

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