sabato 24 dicembre 2011

Davide (VII parte)

Dopo il matrimonio i due non si videro né si parlarono più per otto anni. Silvia non partecipò neppure ai festeggiamenti. Tornò subito a Boston sull’auto del sacerdote e ripartì immediatamente per Milano con la scusa che Davide si era sentito male. Dopo otto anni e dieci squilli di cellulare, Andrew si decise a rispondere al telefonino del ragazzo. Non era nel suo stile impicciarsi degli affari altrui e come tutti gli americani aveva un sacro rispetto della privacy, ma quando è troppo è troppo! Stava riposando e quel telefonino non la smetteva di suonare. Era Silvia: invitava entrambi in Italia per il diciottesimo compleanno di Davide. Andrew era corso a cercare il ragazzo per comunicargli la bella notizia, sorpreso ed eccitato all’idea che i due amici potessero rincontrarsi dopo tutto quel tempo. Ma anche timoroso che Andrea –aveva sempre considerato una banale coincidenza che il ragazzo avesse il suo stesso nome- potesse opporre il suo veto, come aveva fatto ogni volta che si era presentata l’occasione di fare un viaggetto in Italia, fino ad allora. Aveva lasciato il cellulare in casa ed era andato in giardino dalle sue peonie.

Lo trovò lì come al solito, inginocchiato a terra con un cappello di paglia in testa come la signore delle camelie e gli comunicò la bella notizia.
Dopo il matrimonio i due si erano trasferiti definitivamente a Provincetown, dove da qualche anno era stato installato il primo ripetitore telefonico, con grande dispiacere di Andrew e di pochi altri isolani ricchi e snob che come lui consideravano quell’isola un’oasi privatissima per il loro esclusivo piacere e riposo.
Per questo Andrew aveva venduto l’appartamento di New York con i mattoncini rossi e la pretenziosa villa a Fairfield. Con il ricavato avevano ristrutturato e ampliato la palafitta e costruito un bel giardino sul retro che era il regno indisturbato del ragazzo. Andrew aveva comprato anche un ristorantino al porto che aveva però dato subito in gestione alla coppia di amiche lesbiche. Adesso per la maggior parte del tempo se ne stava in costume a prendere il sole in spiaggia e faceva lunghe nuotate al largo, apparentemente indifferente alla temperatura dell’acqua che il ragazzo definiva “artica” rispetto a quella del Mediterraneo a cui era abituato lui.
Per fortuna quella volta il ragazzo apprese la notizia con gioia e richiamò subito Silvia dal suo cellulare. Andrew ci si mise d’impegno a capire cosa si dicevano ma i due amici parlavano così fitto che rinunciò e dopo un po’ se ne tornò al suo mare e al suo sole.
“Ma mi spieghi perché cazzo non ci posso venire se mi ha invitato lei personalmente!” tentò di protestare Andrew mentre il ragazzo faceva la valigia.
“Eppoi voglio conoscere Davide. Me ne parli sempre, scusa!”
“Preferisco andarci da solo. Sono otto anni che non ci vediamo e non ci parliamo e non voglio che lei si senta in imbarazzo quando dovremo chiarire la cosa.”
“Ah, è così allora? Sono otto anni che ti chiedo che cazzo è successo tra di voi e continui a dirmi niente. E adesso c’è qualcosa di così importante da chiarire che devi farlo da solo. Ma si può sapere cosa hai in quella testa dura del cazzo?”
“Niente. Non è successo un cazzo di niente. O almeno io non lo so. Ma se c’è qualcosa da chiarire tra noi voglio che ne parliamo tranquillamente solo lei ed io, senza l’assillo di dover spiegare a te, tradurre eccetera. Capisci? Amore dài, non fare così. Tu sei sempre stato quello che sdrammatizza le cose. Non fare il droppie della situazione adesso!”
“Non usare quella parola. Lo sai che la odio. Non sono mica il tuo ex! E togliti dal mio sole. Tanto con voi italiani è inutile parlare! Come la giri e la volti, c’avete sempre ragione voi. Fanculo!”
Il ragazzo gli schioccò un bel bacio sulle labbra e se ne andò, lasciando il compagno ai suoi pensieri stereotipi e un po’ razzisti sugli italiani tutta mafia, pizza e mandolino e ringraziando quel sole e quel mare che avrebbero fatto compagnia rendendogli meno pesante la sua assenza. In fondo si trattava solo di una settimana.

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