martedì 27 dicembre 2011

Davide (IX parte)


Quando Max e Davide rientrarono a casa, Silvia s’era docciata, vestita e truccata, coprendo il segno delle cinque dita con una generosa spennellata di terra di Siena che la faceva apparire ancora più abbronzata e faceva risaltare maggiormente i suoi begli occhi azzurri. Davide ne fu visibilmente contento. Era un secolo che non vedeva sua mamma così bella ed era orgoglioso che l’avesse fatto per lui. Aveva sempre pensato che fosse una sfiga incredibile compiere gli anni ad agosto, quando tutti i suoi amici erano in vacanza e a Milano non c’era più nessuno. Ma quel compleanno era diverso. L’avrebbero festeggiato tutti e quattro al lago. Max aveva organizzato tutto.
Davide non poté credere ai suoi occhi quando vide il laser da competizione che gli avevano regalato. Doveva provarlo subito. Ma Silvia fu irremovibile. Si era fatta un mazzo così per preparare i suoi tramezzini speciali al pollo e maionese e tutto il resto. E poi Davide doveva spegnere le candeline che sennò portava male. A diciott’anni poi! Fu uno spasso vederlo trangugiare il cibo del picnic e sorbirsi il rituale degli auguri, con tanto di foto in posa e tirate d’orecchie, come quando era bambino. Alla fine per poter spegnere le candeline –lui e non il vento del lago di Como- dovettero coprirsi tutti e quattro con il plaid che Silvia aveva steso per fare il pic-nic. Anche perché era l’unico modo di vedere la fiamma delle candeline accese sotto quel solleone.
“Beh? Non sei curioso di sapere cosa ti ha regalato lo zio d’America?” disse a un tratto Silvia. Davide lo guardò dritto negli occhi con la stessa faccia a punto interrogativo che aveva ereditato da sua mamma. Non si aspettava proprio niente da quel uomo semisconosciuto. Non ricordava neppure il suo nome o forse non l’aveva mai saputo.
“Tieni. Non ho nemmeno avuto il tempo d’incartarlo” si scusò l’amico della mamma e gli allungò una busta. Dentro c’era un biglietto aereo e una mappa degli USA con un cerchio rosso intorno a Provincetown e un indirizzo scritto sopra a penna.
Davide lo ringraziò educatamente ma l’America per lui era così lontana, nello spazio e nel tempo. Ora voleva solo andare sulla sua barca.
Silvia e l’amico lo osservarono veleggiare al centro del lago, dove poteva divertirsi come un matto ad appendersi fuoribordo con tutto il peso del corpo per controbilanciare la forza del vento che gonfiava il trapezio. Max lo seguiva dalla riva col binocolo. Era lui che l’aveva iniziato a quello sport e andava molto fiero del suo piccolo campione e del suo grande lago. Alle sette il sole era calato insieme al vento e finalmente si vide Davide tornare verso riva. Silvia e Max si tuffarono subito e lo raggiunsero all’imbarcazione a nuoto, ma l’amico della mamma restò lì. L’acqua era calda, gli giurava Davide, ma non riusciva a convincerlo. Lo zio d’America se ne stava lì come una lucertola al sole, con i piedi conficcati nella sabbia.
Ma Silvia sapeva cosa fare. Cominciò a prenderlo in giro come ai tempi della scuola e quando lo chiamò femminella lui si tuffò per fargliela pagare.
Silvia era una nuotatrice professionista da giovane e non le sarebbe stato difficile seminarlo, ma fece finta di aver perso l’allenamento. Quando l’amico la raggiunse e la spinse sott’acqua un paio di volte, Silvia lo lasciò fare senza opporre resistenza. Davide rimase ad osservarli per qualche minuto da lontano sbattendo le ciglia lunghe e nere per capire se stavano giocando o se invece facevano sul serio. Come tutti i giovani maschi era iperprotettivo con la madre. Ma quando la sentì ridere si voltò dall’altra parte e in due o tre bracciate guadagnò la riva. Gli altri lo seguirono dopo una decina di minuti. Cominciava a fare freddino e si stesero ad asciugarsi all’ultimo tiepido sole. Nessuno disse più una parola per un po’. Fu Davide a rompere il silenzio.
“Bello il tuo tatuaggio. Ma perché è un’ala sola?”
Silvia era distesa a pancia in giù per prendere il sole sulla schiena. Fece giusto in tempo ad aprire gli occhi prima che l’amico sprofondasse i piedi fino alla caviglia nella sabbia. Fu allora che la vide anche lei per la prima volta. Sul malleolo del piede sinistro dell’amico c’era un’ala tatuata. Una piccola ala come quella di Sub Mariner. Silvia alzò un sopracciglio e fissò l’amico. Aveva gli occhi sgranati e la bocca semiaperta come quel giorno sull’altare. Annaspava alla disperata ricerca del suo aiuto e della sua approvazione. Davide stava aspettando serio. I due amici si guardarono. Sorrisero. E alla fine risposero con il linguaggio dei pesci.

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