sabato 24 dicembre 2011

Davide (VI parte)


Andrew sapeva che l’unico modo di fare restare il ragazzo in America era sposarlo. Le nozze furono fissate per l’estate successiva, il giorno del loro secondo anniversario.  Silvia fu l’unica invitata dall’Italia. I genitori del ragazzo erano morti, suo fratello non aveva mai davvero accettato la sua omosessualità e comunque lui non glielo disse. Ad Andrew non era rimasto che il fratello, ma i due non si parlavano da anni. Fu una cerimonia molto intima e con pochissimi invitati, tutti rigorosamente scalzi e vestiti di bianco per volere di Andrew, tranne gli sposi che alla fine dovevano rompere il bicchiere come prescritto dal rito ebraico. Il ragazzo aveva scelto uno smoking bianco della collezione da crociera di D&G, mentre per Andrew non c’era altro che Armani. Silvia accompagnò il ragazzo all’altare in un bellissimo abito di sua creazione, i capelli raccolti in un elegante chignon e un foulard di seta trasparente al collo, che dovette legarsi in vita perché non la finiva di svolazzare di qua e di là per tutto il tempo. Fu la prima volta che il ragazzo notò la rosa tatuata che partiva da un piede di Silvia e finiva sull’altro. E ne rimase molto colpito. Andrew sbarcò da una barchetta a remi spinta dalla proprietaria lesbica della sua galleria d’arte preferita e fece il suo ingresso sulla spiaggia sotto una pioggia di applausi e petali di rose bianche. 

Quella fu l’unica volta in cui abbandonò l’understatement del suo stile per concedersi un tocco di glam che nessuno avrebbe più dimenticato. Primo fra tutti il ragazzo che era stato tenuto volutamente allo scuro di tutto dal suo futuro consorte. Andrew pronunciò la formula di rito alla presenza del rabbino e dei testimoni e alla fine della cerimonia ruppe il bicchiere al primo colpo sotto il tacco dei suoi mocassini bianchi di Prada. A seguire ci fu il rito cattolico. Il ragazzo si era opposto in tutti i modi ma Andrew ci teneva tantissimo e non volle sentire ragioni. Il rabbino cedette il posto a un sacerdote cattolico fatto venire apposta da Boston. Andrew aveva imparato la sua parte a memoria e la recitò in un perfetto italiano che impressionò molto Silvia. Poi fu la volta del ragazzo. A differenza di Andrew appariva visibilmente teso ed emozionato. Non si sposava solo per la green-card. Era il sogno della sua vita che si realizzava. Il suo sogno d’amore. Proprio lì a Provincetown, la loro terra promessa, sotto le finestre della loro palafitta, su quella stessa spiaggia che li aveva visti abbracciati tante volte ad amoreggiare fino all’alba.

Il sacerdote pronunciò la formula in perfetto italiano: “Vuoi tu Andrew Lush prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Andrea Coiro per amarlo ed onorarlo nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi?”
Silvia trasalì vedendo lo sguardo terrorizzato negli occhi del ragazzo che non si decideva a pronunciare il fatidico sì. Sollevò un sopracciglio e attese in silenzio.
“Sì, lo voglio” lo sentì dire.

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