martedì 17 maggio 2011

Davide (I parte)

Il ragazzo si svegliò in un bagno di sudore nella palafitta a Provincetown, una fredda domenica di fine novembre. Il vento dell’Atlantico sollevava sbuffi d’acqua e schiaffi di ghiaia che sbattevano violentemente contro i vetri della finestra della camera da letto. Ad Andrew bastò guardarlo scendere giù per le scale con i capelli appiccicati sulla fronte per capire che aveva fatto un brutto sogno. Non capiva come facesse a sognare anche di pomeriggio quando lui non sognava mai niente. Ma quello non era il momento per fare una sceneggiata di gelosia. Accolse il ragazzo tra le sue braccia forti e gli offrì una tazzina di caffé appena fatto con la moka e tutti i sacri crismi, come gli aveva insegnato lui. Forse avrebbe fatto meglio a svegliarlo, pensò, ma ultimamente era sempre così stanco e stressato per il lavoro e aveva voluto lasciarlo dormire ancora un po’. Il ragazzo cominciò a raccontare il suo sogno come faceva sempre: con parole chiare e precise, come se fossero impresse a fuoco nella sua memoria.

“Mi esercito a riconoscere le canne fumarie dei vicini dalle ombre che si allungano sui tetti. Le rincorro sulle tegole al tramonto e poi giù per le rampe nel cortile, morbide e sinuose come dive del cinema muto. Modellano il lungo strascico nero sui bordi consumati dei gradini. E mi ritrovo bambino a fissare a naso in su il quadrato di cielo sopra il letto. Un lampo di luce. Un sibilo attutito. L’aereo che precipita tra le urla della gente. Sembra una stella. Una stella cadente.”
Mentre ascoltava con poca attenzione come al solito, Andrew aveva preparato le valigie e messo a posto la casa. Era tardi e dovevano tornare a New York.
Il ragazzo non si fece pregare. Bevve il caffè, si dette giusto una sciacquata al viso e fu pronto per andare. Il tempo era orribile. Era una notte senza luna e senza stelle. Non valeva la pena di restare a dormire lì, per poi fare una levataccia e affrontare il traffico impazzito del lunedì mattina per rientrare in città. Nel viaggio di ritorno parlarono poco. Per lo più ascoltarono le news alla radio. C’era stato un terribile incidente aereo in Europa. Duecento morti. Nessun superstite. Il ragazzo ne fu molto colpito e neppure Andrew riuscì a restare calmo e indifferente stavolta, dopo il sogno che gli aveva appena raccontato. Ma poi in cuor suo lo liquidò come una banale coincidenza e al casello di New York l’aveva già dimenticato. Il ragazzo invece era ancora visibilmente turbato.

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