martedì 27 aprile 2010

Goldie (V parte)

Poi fu la volta di Goldie: pelle colore ebano, occhi verde-azzurri a seconda del tempo e dell’umore e un cuore grande come il mare. L’oceano di Aruba, l’isola dei Carabi dove era nato suo padre -solo che lui era olandese e col padre non parlava più da anni-. L’aveva conosciuto così, per scommessa, in un locale ad Amsterdam. La sera prima di volare a Parigi dal suo boyfriend francese e poi via alla volta di Rio con il suo amico del cuore. Erano gli anni ‘90. Giornate intense e memorabili da una notte e via. Niente di personale. Così girava il mondo. C’erano tanti posti da scoprire, tante persone da conoscere, tante emozioni da vivere, tante cose da fare. E via andare. “So many fishes, so little time” cantava una canzone.
Regulierwaatstrasse, discoteca Exit, interno notte. Eccolo là: un metro e ottantotto di muscoli guizzanti in mousse di cioccolato fondente. Ballava come un dio al centro della pista, con tutti gli occhi puntati su di lui. Il ragazzo gli si parò davanti spalancando il suo famoso sorriso a passo uno. Lentamente, un millimetro di labbra dopo l’altro, fino a far brillare le sue 32 perle sotto le luci delle strobo. E quando finalmente alzò gli occhi su di lui, Goldie era già suo. Un occhiolino all’amico del cuore e il ragazzo si portò a casa il primo premio. S’innamorò subito di quei suoi modi gentili, del suo sguardo amorevole, della sua capacità di ascoltare davvero e della voglia di farlo sentire a casa, anche se quello era l’appartamento che si era fatto prestare da un’amica. Anche lei era partita per il Brasile quella notte e gli aveva lasciato il suo mini appartamento in centro, vicino alla discoteca. Poi dicono che le cose succedono per caso. Chi se la scordava quella casa. Luci soffuse e musica soft. In quello scannatoio il ragazzo si sentiva in paradiso. Furono carezze, baci e farfalle nello stomaco. Finché non arrivò Roberto, l’amico del dio d’ebano, e dovettero fare finta di dormire. Rimasero lì abbracciati senza riuscire a chiudere occhio fino alla mattina. Il ragazzo sapeva di aver trovato l’amore della sua vita. Un ragazzo d’oro. Perciò lo chiamò Goldie. Era bello. Troppo bello per essere vero. Il ragazzo era completamente in suo potere. Innamorato cotto. Praticamente fottuto. 
Avrebbe dovuto fare il “check-the-basket” di rito in discoteca, ma era troppo giovane e troppo inesperto allora. Era così innamorato che non aveva avuto il coraggio di toccarlo lì neanche a letto. Gli bastava crogiolarsi nel suo abbraccio fondente. Anzi pregò Dio che l’olandese non avesse un salame di cioccolata grosso come quello del boyfriend di colore che lo aspettava a Parigi. Non che il ragazzo disdegnasse i cazzi grossi. Ma era alle prime armi e temeva che l’olandese l’avrebbe aperto in due come una cozza. Ma sfortunatamente fu esaudito: invece di un salame di cioccolata l’olandese c’aveva un tic-tac tra le cosce. E più che ciucciarlo non si poteva fare.

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