giovedì 8 aprile 2010

Goldie (II parte)

Il ragazzo fece giusto in tempo a finire di leggere la lettera che la voce gracchiante all’altoparlante e l’acre odore d’urina dei bagni pubblici gli comunicarono che il treno stava arrivando al binario uno della stazione Termini di Roma, il più vicino ai bagni pubblici.
In quella settimana passata tra profumo di salviette rinfrescanti, borotalco e olio idratante per neonati s’era completamente dimenticato l’odore di quel luogo e delle persone che lo frequentavano. Era lì che andava in cerca delle sue avventure di giorno, quando non le trovava di notte. L’articolo di giornale che aveva letto in treno diceva che tra tutti i nostri sensi l’olfatto è quello che si è evoluto meno rispetto agli animali ma proprio per questo è ancora così acuto. Il canale olfattivo attraverso cui vengono percepiti e riconosciuti gli odori, nonostante si sia accorciato nell’evoluzione della specie è ancora molto lungo. Più profondo del canale auricolare o del cavo orale. Il gusto stesso è dovuto all’80% all’olfatto ed è per questo che quando abbiamo il raffreddore non sentiamo il sapore dei cibi. L’autore dell’articolo sosteneva che un profumo può riportare alla mente ricordi antichissimi che sembravano dimenticati o rimossi dalla memoria cosciente, ed è addirittura capace di risvegliare una persona dal coma. Il ragazzo chiuse gli occhi. L’odore di urina gli ricordò il soppigno nella vecchia casa dei suoi. Lo chiamava così sua nonna in dialetto lucano, il soppalco collegato alla cucina dalla lunga scala in legno verniciato di bianco che serviva da ripostiglio per le valigie, le mensole dismesse, l’albero e gli addobbi di Natale e le altre mille cianfrusaglie accumulate negli anni da tutta la famiglia. Faceva un caldo infernale là sopra perché c’erano i tubi della caldaia a gas ed era molto basso. Per questo ci mandavano sempre lui che era il più piccolo a prendere le bottiglie quando finiva il vino rosso, perché era agile e ci stava dritto in piedi senza battere la testa. Quando si fece grande ci mandarono la cameriera e per un po’ il ragazzo lo dimenticò. Ci tornò molto tempo dopo, una domenica, all’età di circa quattordici anni. Si annoiava a morte quel giorno. Dopo pranzo la casa era piombata nel più pesante dei silenzi. Suo padre e suo fratello erano allo stadio, la nonna era in camera che pregava e la mamma faceva il suo beauty sleep pomeridiano. Il ragazzo salì sul soppigno in cerca di qualcosa da fare. In fondo, dove il calore dei tubi della caldaia si faceva insopportabile, nella cassetta con i vuoti del vino e delle conserve di pomodoro, proprio sotto i peperoni lucani cruschenti che la nonna appendeva ad essiccare, trovò un rotolo di spago. Se lo arrotolò attorno alla vita, sotto la maglietta e strinse forte trattenendo il fiato. Il dolore lo faceva sentire vivo. La pelle intorno alla vita si stava segnando di profondi solchi rossi. Lui ci passò la mano e li seguì su e giù a spirale finché non sentì uno strano formicolio farsi strada in basso dentro di lui. 
Tirò su la maglietta, si calò i pantaloni e con sorpresa vide il cazzo gonfiarsi negli sleep. Era incredibilmente eccitato. Se lo strinse tra le mani e si masturbò furiosamente per la prima volta in vita sua. A un certo punto sentì uno stimolo irresistibile come quello di pisciare e non sapendo dove farla, prese una bottiglia e la riempì di uno strano liquido vischioso. Respirava a fatica, vuoi per lo spago che ora cominciava a fargli male davvero, vuoi per la temperatura e l’eccitazione. Non si vedeva niente lì dentro. Cercò l’interruttore e accese la luce. Sollevò la bottiglia e la guardò in trasparenza alla luce della lampadina impolverata che pendeva davanti a lui, a pochi centimetri dal suo naso.

Nessun commento:

Posta un commento