domenica 10 ottobre 2010

Luca


Tra Goldie e le pillole c’era stato Luca. Quando la loro storia era finita, Luca aveva scritto una lettera al ragazzo. O per meglio dire un libricino pieno di pagine colorate in carta riciclata.
“Ti ho amato tanto.” Finiva così. Con un passato prossimo che al ragazzo sembrava ormai così remoto. A stento ricordava che faccia avesse Luca. Menomale che su una pagina di carta color ocra c’era incollata quella foto di loro due seduti fuori a quel pub di Londra. Di quella luna di miele ricordava solo la domenica pomeriggio passata al G.A.Y. Più salivano le scale della discoteca più le vetrate si appannavano dei sudori, gli umori e gli odori di tutti quei ragazzi. Erano due ragazzi anche loro. Due bei ragazzi innamorati pazzi. Lo ricordava come se Luca fosse lì davanti a lui. Quel suo modo delicato e sensuale di inumidirsi le labbra: un rapido saettare della lingua sotto i baffetti sottili e morbidi da adolescente.
Le sue gambe forti, temprate dallo step. Che sesso gli faceva!
E la dolcezza e il suo incredibile romanticismo che trapelava anche in mezzo al dolore di quelle righe scritte a pennarello nero e sbavate dalle lacrime.
Chissà dov’era Luca in quel momento. Se davvero era andato in America come gli aveva scritto.
New York, Los Angeles, San Francisco. Chissà se l’avrebbe incontrato da qualche parte nel suo viaggio. Chissà se almeno Luca era riuscito a trovarlo il grande amore laggiù, nella terra promessa dei gay. Di sicuro non era stato lui il fortunato. Il loro amore era stato travagliato, ma forse proprio per questo indimenticabile. Anche Luca aveva perduto il padre d’infarto. E anche lui per sfuggire a quel dolore immenso si era perso dietro a false promesse e amicizie sbagliate. Si erano conosciuti in pista allo Shocking di Milano a un after-hour durante le feste di Pasqua. Luca era fuorissimo. Eppure a differenza dei suoi amici di sballo che si scatenavano in modo violento e onanistico, la droga in Luca accentuava il suo lato romantico. Aveva cominciato ad accarezzare i capelli del ragazzo ogni volta che passava sotto il cubo su cui lui ballava mettendo in evidenza i suoi addominali perfetti e le sue gambe muscolose –era a petto nudo e aveva solo un pantaloncino corto di pelle addosso-. A un tratto il ragazzo se l’era ritrovato di fianco. Luca l’aveva preso dolcemente per mano, s’era inumidito i baffetti con la lingua e gli aveva chiesto: “Sei pronto per il moon-walk?”
Il ragazzo l’aveva fissato con sguardo interrogativo e aveva riconosciuto l’effetto della droga nell’eccessiva dilatazione delle pupille che nascondeva quasi completamente il bel colore nocciola dei suoi occhi. Sapeva che agli after si faceva largo uso di droghe cosiddette ricreative, ma lui non aveva mai preso niente -sì e no si era fatto qualche canna insieme a Silvia- e non voleva cominciare proprio allora. Suo padre era morto da meno di un mese. Sua madre era caduta in una terribile depressione. Non faceva che piangere e il ragazzo si sentiva profondamente in colpa per averla lasciata a casa da sola mentre lui era là che si divertiva. Quando Luca gli mostrò il bullet con la special-key già carico per fare un tiro il ragazzo non capì. Ma a Luca sembrò che facesse solo finta e con estrema dolcezza lo trascinò in bagno con sé. Il ragazzo lo seguì docilmente, sereno e ignaro come un vitello al macello. Luca conosceva tutti lì dentro, buttafuori compresi. Non gli fu difficile raggiungere il bagno degli handicappati e farselo aprire dalla vecchia donna delle pulizie. Le fece scivolare nella tasca del grembiule azzurro un paio d’euro e lei gli fece l’occhiolino.
Una volta dentro, Luca si inumidì nuovamente le labbra e lo baciò a lungo, teneramente.
Il ragazzo fu conquistato dal suo atteggiamento deciso e dalle sue labbra carnose e umide. Decise di fidarsi e quando Luca fece un tiro di Key e ricaricò il bullet per lui, lo imitò senza fiatare. Il ritorno dal bagno al cubo al centro della pista fu molto più lungo, lento e faticoso dell’andata. Ma incredibilmente bello. Luca incedeva a ritmo di musica davanti a lui, tenendolo stretto per mano. Ogni tanto si voltava per vedere come stava, s’inumidiva le labbra e lo baciava. Il ragazzo lo seguiva fedelmente a passi lunghi, molleggiati e leggeri, come se camminasse sulla luna. Al loro passaggio gli sembrava che quella folla di corpi che si dimenavano come ossessi al ritmo della musica house d’improvviso si aprisse come le acque del Nilo davanti a Mosè. Quando alla fine di quel viaggio ritornarono lì dove si erano conosciuti, il ragazzo pensò che fosse passata un’eternità e capì perché Luca l’avesse chiamato “moon-walk”. Gli effetti dell’anestetico per cavalli che avevano sniffato durò per un bel po’ specialmente per il ragazzo che non l’aveva mai provato prima. Luca fu il suo angelo custode per tutta la notte. Esistevano soltanto loro due e potevano sentire i loro cuori battere all’unisono. Quando il ragazzo si svegliò nel letto di Luca con la mano intrecciata alla sua, gliene fu grato. E quando scoprì che Luca spacciandosi per lui aveva inviato dal suo cellulare un sms alla mamma per rassicurarla che stava bene ma che avrebbe dormito a casa di un amico quella notte perché avevano fatto tardi e non se la sentiva di guidare, il ragazzo non si infuriò. Non sapeva se Luca lo amava ma aveva un disperato bisogno che qualcuno si prendesse cura di lui. E si affidò a lui senza riserve.

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