domenica 17 ottobre 2010

Luca (III parte)


“Dopo l’ho sognato, sai? Aveva un paio di bermuda bianchi e pure la maglietta era candida. Mi salutava dal marciapiede sull’altro lato della strada, ma era pieno di macchine che sfrecciavano tra noi e io non potevo attraversare. Proprio così, l’ho salutato anch’io con la mano e l’ho visto lentamente dissolvere di là dal marciapiede. Però ho notato che sorrideva”.
Il ragazzo non aveva mai parlato tanto con nessuno come con Luca. Parlavano di tutto, giorni e notti intere. Si capivano anche senza fiatare. Complici le droghe o la dolcezza innata di Luca, il ragazzo riusciva a sviscerare le sue più profonde paure, le sue più inconfessabili fantasie, i suoi desideri più nascosti. Amava, riamato, incondizionatamente. Per questo quando gli scoppiò la febbre ad agosto non si preoccupò più di tanto. Luca lo curò amorevolmente come al solito e quando la situazione peggiorò lo accompagnò al pronto soccorso e gli tenne la mano durante tutta la degenza e la convalescenza in ospedale. 
E sembrò così genuinamente sorpreso quando il dottore gli disse che il ragazzo aveva contratto l’HIV e che conveniva anche a lui fare il test. Fu l’ultima volta che i due si videro.  
Nel libricino di carta riciclata che gli fece arrivare in ospedale Luca confessò che non aveva mai fatto il test e non l’avrebbe mai fatto. Brevemente gli accennò a quel incontro di sesso a pagamento, la notte in cui aveva deciso di farla finita con l’overdose. Che l’uomo gli aveva promesso il doppio dei soldi se l’avessero fatto senza preservativo ma che poi quando avevano finito si era rimangiato la parola. Che lui si era incazzato di brutto e alla fine il sardo gli aveva sbattuto i soldi in faccia e gli aveva detto: “Tanto quello che ti dovevo dare te l’ho già dato”.

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