lunedì 23 agosto 2010

Droppie (X parte)

Il giorno dopo si mise il computer sottobraccio e prese la metro per andare in biblioteca a finire la sua tesi. Non aveva scritto a Silvia né l’aveva più chiamata dopo che era tornata a Milano. Non era dell’umore giusto per parlare con nessuno. Era ancora sottosopra e non avrebbe saputo cosa dirle. E poi il tempo era fisso sul bello. Avrebbe aspettato che piovesse e che il bicchiere sul davanzale si riempisse, come aveva detto lei. Nel tunnel della metro faceva già molto caldo alle dieci di mattina. Era pieno zeppo di persone irritabili e accaldate. Le panchine erano tutte occupate. Il ragazzo poggiò la schiena contro il muro ricurvo della stazione Cavour e si mise a leggere i cartelloni della pubblicità per ingannare il tempo.

“People would read anything in the tube” era l’headline di una campagna inglese che aveva citato nella sua tesi come miglior esempio di utilizzo dei media. Era proprio vero. Guardò il tabellone: ancora sei minuti. La metropolitana di Roma faceva ridere in confronto a quella di Milano. Nel frattempo arrivò sferragliando il treno in direzione opposta e dopo poco ripartì. Tra la folla di persone gli sembrò di riconoscere un impermeabile color crema che gli era stranamente familiare. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. L’uomo con la ventiquattrore e la chierica somigliava… ma no, non poteva essere. Eppure sembrava proprio lui. Stesso impermeabile dal taglio ampio con le spalline abbottonate, stessa fodera a quadrettini della Barbour. E i capelli portati corti dietro e sui lati e con la piazzetta in mezzo? Se non fosse stato per la montatura degli occhiali alla moda avrebbe giurato che quello fosse suo padre. Ma una montatura si può anche cambiare, pensò. L’uomo dall’altra parte dei binari intanto si avviò tranquillamente verso l’uscita. Il suo treno stava per arrivare ma il ragazzo fu preso da un impulso irrefrenabile. Cominciò a correre su per le scale come un pazzo, scontrandosi contro la fiumana di gente che scendeva in senso opposto. Nulla poteva fermarlo. Neppure quella cicciona con le buste della spesa e il figlio in braccio che per poco non ammazzava. Neppure il rischio di rompere il computer nell’impatto e di perdere tutto il lavoro fatto per la tesi. Salì i gradini delle scale di marmo due a due, scavalcò i tornelli e riemerse nel mare di turisti in Via dei Fori Imperiali. Dell’uomo con l’impermeabile crema neanche l’ombra. Davanti a lui svettava in controluce la sagoma imponente e maestosa del Colosseo. Non era la prima volta che gli capitava quella sensazione di spaesamento. Un attacco di panico in piena regola. Aveva sognato tante volte che il padre fosse vivo. Temeva che avesse inscenato la sua morte per potersi risposare, avere altri figli, rifarsi una famiglia. Cambiare vita insomma. Se non avesse visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani il corpo esanime del padre su quella fredda lastra di marmo dell’obitorio non avrebbe avuto dubbi. Gli mancava ancora così tanto? Se lo immaginò all’estero. Avrebbe dovuto cambiare nome e professione, ma con la sua conoscenza dell’inglese e del francese, la sua intelligenza e la sua incredibile abilità di autodidatta Tullio ce l’avrebbe fatta ovunque. Una volta gli aveva raccontato che, da giovane, per far colpo su una danese di cui si era innamorato, aveva imparò da solo la sua lingua e le promise che un giorno anche in quella terra lontana lei avrebbe sentito parlare di lui. E così fu. A 40 anni e senza appoggi politici o raccomandazioni di alcun genere Tullio era diventato il primario più giovane d’Italia e tenne congressi in tutto il mondo. Adesso che ci pensava, il padre aveva sempre prediletto i paesi del nord Europa. Sarebbe stata diversa la sua vita se suo padre fosse stato ancora lì con lui? Lo avrebbe aiutato con i soldi, l’università, la malattia e tutto il resto? E sua madre, come sarebbe stata? Lei che quando il marito era in vita si lamentava sempre che era un orso e non voleva mai uscire e vedere gente -a lui bastavano i suoi libri e la sua musica- e che dopo la sua morte aveva rimosso tutto: litigi, musi lunghi, incomprensioni, per ricordare solo quel poco di buono che restava. E’ così che funziona il cervello. Rimuove i ricordi brutti e conserva solo quelli che ti fanno stare bene. Gliel’aveva insegnato suo padre. Diceva sempre che il cervello non può impedirsi di pensare e che chi dice che non sta pensando a niente, mente spudoratamente. Perché è l’uso che fa l’organo. E l’unica funzione del cervello è quella di pensare. Addirittura una volta quando studiava biologia suo padre gli aveva detto che continua a esserci attività cerebrale anche qualche minuto dopo morti. E lui, cosa stava pensando in quel momento? Forse che a suo padre avrebbe fatto piacere vederlo laureato? Cazzo, la tesi! La sessione di laurea era fra meno di un mese e doveva ancora completarla e consegnarla al relatore.

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