venerdì 7 ottobre 2011

Davide (IV parte)

Silvia seguì con lo sguardo la mano del ragazzo mentre accarezzava le lettere della poesia lentamente, una dopo l’altra, come se fosse stata scritta in braille.

S’intitolava “Il ragazzo che volava di profilo.”

C’era un ragazzo
che per le nuvole ci andava pazzo.
Le amava così tanto
da farsi un tatuaggio.
Ma una nuvola intera non ci stava.
Allora il ragazzo si dipinse un’ala
come quella di Mercurio, il dio corridore
sul piede sinistro, il lato del cuore.
A guardarlo da quel lato
si vedeva che era alato.
Ma quel segreto non fu mai svelato.
Nemmeno quando il ragazzo andava in spiaggia.
Perché conficcava i piedi nella sabbia.
I pesci del mare lo sapevano
che poteva volare.
Ma non lo andarono certo a raccontare.

Sulla targhetta di fianco alla coperta c’era scritto: Luca Pierangeli 8-8-1968, 9-5-2000.
Era proprio il suo Luca. Rileggendo il titolo della poesia e i riferimenti cos’ chiari alla sua vita d’un tratto il ragazzo capì che solo Luca l’aveva compreso davvero. Solo Luca gli aveva “grattato l’anima” come diceva sempre lui alla fine dei loro interminabili discorsi. Solo lui l’aveva stanato. Al di là dei blasoni, dei nomi falsi e delle beate illusioni dell’amore. 
Al di là di tutte le cazzate sulla madre e sul padre, della sua visione eroica della vita, della tanto millantata religione dell’uomo a cui diceva di voler ispirare tutta la sua vita. Oltre le apparenze e le parole inutili dietro cui aveva sempre nascosto a sé e agli altri la propria verità. Altro che ideologie del cazzo, visioni oniriche, ossessione del sesso. Le parole stanno a zero. La verità stava là davanti a lui, anzi al suo fianco. Nel suo profilo riflesso nella vetrata del ristorante che dava sul parco. Il suo profilo con il naso camuso che non a caso il ragazzo odiava tanto. D’un tratto gli apparve chiaro che tutta la sua vita, tutta la sua fottutissima esistenza era solo una farsa. Una rappresentazione teatrale di se stesso. Un cinema. Un’ombra cinese proiettata sul muro della apparenze con cui amava mostrasi agli altri. Il ragazzo si rese conto in un istante che non aveva mai affrontato la vita di petto come andava predicando con la sicumera tipica di chi non ha nulla da nascondere: né difetti, né malattie, né perversioni. Tanto ogni cosa è giustificabile in nome della sincerità. “Sante bugie” diceva sua mamma e il ragazzo l’aveva presa in parola. Senza neanche accorgersene in tutti quegli anni non aveva fatto altro che mentire, sapendo di mentire. Invece di affrontare la vita di petto si era accontentato di andare di profilo. Volava con la fantasia, ma sempre coi piedi ben piantati per terra. Anzi sottoterra, nelle profondità oscure e impenetrabili delle sue bassezze a cui negava l’accesso a tutti, a volte perfino a se stesso.

Nessun commento:

Posta un commento