giovedì 1 luglio 2010

Droppie (VIII parte)

Il giorno successivo il ragazzo si svegliò più contento e dopo un’abbondante colazione col panettone di Marchesi che Silvia gli aveva portato da Milano entrò nello studio, deciso a riprendere in mano la sua tesi. Ma quando aprì l’iBook trovò un foglietto scritto a pennarello. Non si sorprese affatto di trovarlo. Silvia non se ne andava mai senza lasciare un segno del suo passaggio. Era nel suo stile e a lui piaceva.

“SENTITI UN CARTONE ANIMATO,
COSÌ NON MUORI MAI,
NON CESSI DI ESISTERE,
FAI RIDERE I BAMBINI
E SOPRATTUTTO NON PROGETTI
PICCOLE E GRANDI STRONZATE
IN OGNI PICCOLO SPAZIO E SENZA ARIA,
DOVE I PICCOLI CALCOLI,
I DESIDERI DI PICCOLI PROFITTI TI BUTTANO.”

E’ di Lucio Dalla, ma lo penso anch’io.
Metti un bicchiere fuori alla finestra e aspetta. Quando sarà pieno di pioggia potremo brindare a noi due. Al nostro essere così diversi in tutto questo bordello che sta capitando nelle nostre vite, al nostro essere così simili nel comune modo di sentire e credere nella gente e nell’amore. Non siamo più ragazzini, non siamo ancora adulti. Cerchiamo almeno di non essere nulla, da soli.
Tua Silvia.

Il ragazzo piegò il foglietto in due, richiuse il computer e uscì. Era una splendida giornata. Faceva caldo e decise di fare una pedalata in centro ma la bici aveva una ruota a terra e la portineria dove per comodità lasciava la sua pompa a quell’ora era sprangata.
Il portiere gli aveva confessato che bastava spingere la vecchia porta di legno per aprirla, anche quando era chiusa a chiave. Il ragazzo non ci aveva mai provato ma quel giorno aveva bisogno di schiarirsi un po’ le idee e non c’era niente di meglio di una bella pedalata. Così si fece coraggio e si avvicinò alla portineria. Spinse piano il battente sinistro della porta, si assicurò che nessuno scendesse per le scale e con un colpo secco l‘aprì. Guardò subito a sinistra, dietro la sedia, ma la pompa non era al solito posto. Maledicendo la sua pigrizia e il disordine del portiere cercò all’interno del gabbiotto. Nell’armadio, sotto il tavolino, pure nel ripostiglio delle scope. Niente. Dovette uscire e richiudersi la porta alle spalle forzando il chiavistello con un altro colpo secco uguale e contrario al primo. E per fortuna anche quella volta nessuno scese per le scale. Uscì di nuovo alla luce di maggio e lanciò un’occhiata alla bici con la ruota a terra, cercando una soluzione alternativa. Non aveva intenzione di arrendersi. Era una giornata troppo bella per tornare in casa. A fare cosa poi? Guardare la tv? Leggere? Idem con patate.
Figuriamoci mettersi a studiare. Si sentiva troppo nervoso per quello. Le parole dell’amica l’avevano scombussolato. Stava davvero così male? Eppure gli aveva raccontato che Davide cresceva magnificamente, che man mano che i genitori si affezionavano al bambino diventavano più morbidi anche nei suoi confronti. Che la stavano aiutando a crescerlo e che i suoi sensi di colpa stavano lentamente sparendo insieme al ricordo di quel bastardo di Alberto. E lui? Come stava lui? Aveva sempre considerato Silvia la sua migliore amica e si sentiva particolarmente vicino a lei e partecipe della sua vita, eppure doveva ammettere che le loro esistenze avevano preso strade diverse da quando aveva cambiato città per vivere la sua omosessualità senza più rinunce e sensi di colpa. Gli sembravano così lontani i giorni passati insieme a Silvia sui banchi di scuola a Milano. Lei era diventata mamma adesso. Lui era gay e anche volendo non avrebbe mai potuto avere un figlio suo per via della malattia. E nemmeno adottarlo. Certo erano entrambi single ma per ragioni molto diverse. Eppure secondo lei erano così simili in quella scelta di solitudine. Nel dolore di quella solitudine.

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